Crisi personale e crisi letteraria. Il caso di Così è se vi pare

Felicia Grillo

Dottore di Ricerca Università di Bari / Insegnante abilitata in materie letterarie

Abstract in inglese

The writing is the communication of priority, the privileged men of every age have used to express thoughts and emotions. Therefore, it should be clarified by an assertion very deductive value that is the ability to identify any written text (excluding those which relate to acts of mere exercise and they are completely factual) in the event of their way of living and thinking, emotions and to interact in a more emotional way. Thinking back to the literature of all times and produced in different geographical and socio-political, most of the writings may be regarded as expressions are intended to show, directly or not, the social commitment of the author, his mood of adherence and membership of the current culture of the time. It concludes that, although in different ways, all compositions are part of its author, his message, his irony and often the same difficulty in communicating, probably caused by factors external nature (which may be the result of living a social situation rather oppressive or exposed to the many forms of censorship adopted by his club) or even more appropriately intimate and restrictions inherent personality and sociability.

We can be identified in the last century a precious testimony to that effect because it served to demonstrate quasi-analytic, all the ambiguity that can take the act of telling, to write and describe, leaving guess even after a first reading of the intent of revealing the enigmatic and contradictory nature of life. This is Luigi Pirandello, whose work and whose entire intellectual biography are identified with the effort to induce the reader to its reasoning and, later, the audience of his plays, so you can achieve, with a joint effort between author-director-creator and audience, in order to eventually accept that the recklessness and the partiality of any interpretation are the only solutions.

Features more explicitly didactic in nature can be found in this way is (if you like), tragi-comedy played out in 1917 that the author himself wanted to be identified even by the posthumous title of “parable” in order to describe the deep sense of this work as something atavistic (as may be in the mentality of the Gospel parables) and at the same time to mark the character of “sacred” that is written as a sacred truth in it obsessively and unhealthily sought.

Through this device of narration and not through the continued denial of any data that should be taken as “objective”, first of all the minimum requirements for each identification, Pirandello tells anticipating the use of false names used to know each other via the web and denouncing oppression and morbidity contained in curiosity. He writes of a tragedy that unites all as determined by the condition of feeling inadequate, marginalized or different and, therefore, weaker than those who hide behind the place occupied in society, and deceive his own weakness in the habit of judging the failures of others .

Pirandello tells and tells the story of every man looking for a balance after an earthquake that’s no longer any certainty and shook him to the point of leaving only the practice of truth and non-judgmental awareness to communicate to others only a fragment of her own life, so ridiculous as it might be a shadow.

Abstract in italiano

La scrittura rappresenta la forma prioritaria della comunicazione, il mezzo privilegiato che gli uomini di ogni epoca hanno utilizzato al fine di esprimere, in maniera più o meno pubblica, pensieri ed emozioni. A tal proposito, quindi, andrebbe chiarito un asserto dalla valenza molto deduttiva che consiste nella possibilità di identificare ogni testo scritto (esclusi quelli che corrispondono ad atti di mero esercizio e sono del tutto compilativi) alla manifestazione del proprio modo di vivere e pensare, di emozionarsi e di relazionarsi in forma emotiva. Ripensando alla produzione letteraria di ogni tempo e prodotta negli svariati contesti geografici e socio-politici, gran parte degli scritti possono essere considerati come espressioni volte a dimostrare, direttamente o meno, l’impegno sociale dell’autore, il suo stato d’animo o l’aderenza e appartenenza alla corrente culturale del tempo. Si deduce che, sia pure secondo modalità differenti, tutti i componimenti rappresentano parte del proprio autore, il suo messaggio, la sua ironia e frequentemente la stessa difficoltà incontrata nel comunicare, probabilmente causata da fattori di natura esterna (quali possono essere il fatto di vivere una situazione sociale piuttosto opprimente o di subire le tante forme di censura adottate dalla società di appartenenza) o anche da limiti più propriamente intimi e connaturati alla personalità e alla socialità.

Alla luce di simili premesse, è possibile identificare nello scorso secolo una testimonianza preziosa in tal senso in quanto è valsa a dimostrare, in forma quasi analitica, tutta l’ambiguità che può assumere l’atto di raccontarsi, di scrivere e di descrivere, lasciando intuire anche solo dopo una prima lettura l’intento di disvelare l’enigmaticità e la contraddittorietà del vivere. Si tratta di Luigi Pirandello, le cui opere e la cui intera biografia intellettuale risultano identificabili con lo sforzo di indurre al ragionamento prima il lettore e, in seguito, lo spettatore delle sue rappresentazioni teatrali, in modo da poter pervenire, con uno sforzo comune tra autore-ideatore-regista e pubblico, al fine ultimo di accettare che la sregolatezza e la parzialità di ogni interpretazione siano le uniche soluzioni .

Caratteristiche di natura più esplicitamente didascalica sono riscontrabili in Così è (se vi pare), tragi-commedia inscenata nel 1917 che l’autore stesso ha voluto fosse identificata anche dai postumi con l’appellativo di “parabola”, così da qualificare il senso profondo di questa sua opera come un qualcosa di atavico (come possono esserlo nella mentalità comune le parabole evangeliche) e, al contempo, per rimarcare il carattere “sacro” di tale scritto come sacra è la verità in esso ossessivamente e morbosamente ricercata.

Attraverso questo espediente della non narrazione e attraverso la continua negazione di ogni dato che dovrebbe essere assunto come “oggettivo”, primi fra tutti i requisiti minimi di ogni identificazione, Pirandello si racconta anticipando l’uso dei falsi nomi usati per conoscersi via web e denunciando l’oppressione e la morbosità contenute nella curiosità. E scrive di un dramma che accomuna tutti in quanto è determinato dalla condizione di sentirsi inadeguati, emarginati o differenti e, quindi, più deboli di quanti si trincerano dietro il posto occupato in società e ingannano la propria debolezza nell’abitudine di giudicare le mancanze altrui.

Pirandello si racconta e narra di ogni uomo in cerca di un equilibrio dopo che un terremoto gli ha annullato ogni certezza e lo ha scosso al punto tale da lasciargli come unica verità la pratica del non giudizio e la consapevolezza di poter comunicare agli altri solo un frammento del proprio vissuto, talmente irrisorio quanto lo potrebbe essere un’ombra.

Crisi personale e crisi letteraria. Il caso di Così è se vi pare

In questo lavoro, si enuncia la possibilità di rileggere la trama di Così è se vi pare di Luigi Pirandello rilevando i molteplici aspetti che pongono in risalto la condizione di instabilità dell’uomo moderno. La funzione orientativa dell’opera, rintracciabile nella voluta ambiguità della scrittura pirandelliana, si snoda attraverso la decodifica dell’espediente narrativo della follia del personaggio posta in risalto dall’autore al fine di condurre una riflessione intorno alle difficoltà, di natura emotiva ma anche dettate da esigenze sociali, di raccontare e raccontarsi. L’opera consente di effettuare un’analisi dei parallelismi all’interno della relazione tra disagio e comunicazione rintracciabili negli uomini e nelle società di ogni tempo.

La scrittura rappresenta la forma prioritaria della comunicazione, il mezzo privilegiato che gli uomini di ogni epoca hanno utilizzato al fine di esprimere, in maniera più o meno pubblica, pensieri ed emozioni. A tal proposito, quindi, andrebbe chiarito un asserto dalla valenza deduttiva che consiste nella possibilità di identificare ogni testo scritto (esclusi quelli che corrispondono ad atti di mero esercizio o che sono del tutto compilativi) alla manifestazione del proprio modo di vivere e pensare, di emozionarsi e di relazionarsi in forma sensibile. Ripensando alla produzione letteraria di ogni tempo e sorta negli svariati contesti geografici e socio-politici, gran parte degli scritti possono essere considerati come espressioni volte a dimostrare, direttamente o meno, l’impegno sociale dell’autore, il suo stato d’animo o l’aderenza e appartenenza alla corrente culturale del tempo. Si deduce che, sia pure secondo modalità differenti, tutti i componimenti rappresentano parte del sentire di ogni autore, il suo messaggio, la sua ironia e frequentemente la stessa difficoltà incontrata nel comunicare, probabilmente causata da fattori di natura esterna (quali possono essere il fatto di vivere una situazione sociale piuttosto opprimente o di subire le tante forme di censura adottate dalla società di appartenenza) o anche da limiti intimi, connaturati alla personalità e alla socialità.

Alla luce di simili premesse, è possibile identificare nello scorso secolo una testimonianza preziosa in tal senso in quanto è valsa a dimostrare, in forma quasi analitica, tutta l’ambiguità che può assumere l’atto di raccontarsi, di scrivere e di descrivere, lasciando intuire, anche solo dopo una prima lettura, l’intento di disvelare l’enigmaticità e la contraddittorietà del vivere. Si tratta di Luigi Pirandello, le cui opere e la cui intera biografia intellettuale risultano identificabili con lo sforzo di indurre al ragionamento prima il lettore e, in seguito, lo spettatore delle sue rappresentazioni teatrali, in modo da poter pervenire, con uno sforzo comune tra autore-ideatore-regista e pubblico, al fine ultimo di accettare che la sregolatezza e la parzialità di ogni interpretazione rappresentino le uniche soluzioni di decodifica fenomenica.

Caratteristiche di natura più esplicitamente didascalica sono riscontrabili in Così è (se vi pare), tragi-commedia inscenata nel 1917 che l’autore stesso ha voluto fosse identificata anche dai postumi con l’appellativo di “parabola”, così da qualificare il senso profondo di questa sua opera come un qualcosa di atavico (come possono esserlo nella mentalità comune le parabole evangeliche) e, al contempo, per rimarcare il carattere “sacro” di tale scritto come sacra è la verità in esso ossessivamente e morbosamente ricercata.

La trama riguarda tre personaggi che sono capitati in un nuovo piccolo paese e che sarebbero i coniugi Ponza e la madre di lei, o presunta tale. L’espediente narrativo utilizzato per introdurre alla riflessione sull’ambiguità del reale e volto ad iniziare il pubblico ad una rinnovata predisposizione interpretativa, consiste nell’identificazione dei personaggi e del loro legame. In seguito a questa disamina, gli unici “dati certi” connotano, e così sarà sino alla fine, il signor Ponza, costretto anche dal proprio ruolo di impiegato a dover dar conto di dolori intimi e questioni personali solo per appagare la crescente curiosità dei superiori e degli abitanti del paesino. L’enigma riguarda appunto la figura delle due donne e soprattutto di colei che dovrebbe essere sua moglie ma che nessuno ha mai incontrato e di cui solo alcuni avrebbero scorto l’ombra in lontananza, nell’atto di tirare a sé, da un balcone, il contenuto di un cestino consegnatole da sua madre. Quest’ultima, la signora Frola, è la prima vittima della morbosità altrui dal momento che, dopo inutili reticenze, è costretta a giustificare la mancata partecipazione alla vita pubblica di sua figlia a causa dell’improvvisa follia del genero che, in seguito ad un lungo ricovero della moglie e a causa del dolore provato per questa forzata separazione, non l’ha più riconosciuta e ha creduto di aver risposato un’altra donna. Tale versione dei fatti risulta subito smentita dal genero stesso della signora Frola che, sempre in circostanze di apparente e grottesca confidenzialità, confessa agli astanti il proprio dramma. Pur di assecondare la follia di sua suocera, generata dal non essere riuscita a convivere con il dolore per la perdita della figlia tanto da aver creduto di rivederla, tornata in salute dopo un periodo di cura, proprio nella sua seconda moglie, Ponza costringe la coniuge a vivere ritirata in casa.

A porre fine ai continui tentativi di proporre sempre nuovi paradigmi interpretativi e altrettante possibilità di tesi e antitesi, sarà proprio la misteriosa signora Ponza, in scena al termine della commedia mentre è invocata dalla madre e dal marito con nomi diversi identificativi di due figure differenti e, quindi, dei due volti del dramma vissuto dai protagonisti. Alla donna non resta che assecondare le loro due verità rispondendo ad entrambi i modi di chiamarla; ma ai curiosi che le chiedono spiegazioni razionali risponde di essere “nessuna”, cioè, <> determinando il calare di un sipario che non corrisponde unicamente al mero dato tecnico e tende a simboleggiare la necessità di soffocare la morbosità, che sovente grava su chi vive un’esperienza dolorosa.

Dato significativo sembrerebbe essere proprio un’iniziale annotazione dell’autore che, nel presentare i tre enigmatici personaggi, ha riferito del loro trasferimento in seguito alla devastazione causata da un imponente terremoto. Questo, che potrebbe essere scambiato con un particolare volto a semplificare l’espediente narrativo, in realtà diviene l’unica possibile spiegazione della sofferenza vissuta da queste personalità con un passato segnato da un profondo dramma. Qualcosa è crollato nelle loro certezze e si è frantumato fino ad identificarsi con il nulla che travolge tutto e che pian piano ha assorbito le loro menti; qualcosa di devastante è riuscito persino ad ingannare il dolore lasciandogli credere di poter essere soppiantato dall’illusione che nulla fosse successo.

Allo stesso modo, la narrazione risente dell’evento traumatico e spesso appare sotto forma di tante macerie che, pur provenendo dal medesimo edificio, tuttavia non combaciano più tra loro. Il dolore ha reso ogni tratto della vicenda forse più appuntito o più fragile o talmente sottile e insignificante da non poter essere ritenuto utile a diventare di nuovo parte di un insieme compatto. Le verità dei personaggi sono state svilite dal disagio che le ha anche deprivate di un’identità effettiva, stilistica e semantica. L’opera non è, infatti, una commedia ma nemmeno una tragedia e i protagonisti non sono mendaci allo stesso modo di come non sono patologicamente folli tanto da essere reclusi in luoghi di cura. La prosa è complessa e la narrazione si interrompe nei cambi di scena e nelle battute di personaggi attoniti e perplessi quanto il lettore o lo spettatore teatrale.

Probabilmente, il primo impatto con la vicenda narrata in Così è (se vi pare) coincide col prendere le distanze dagli atteggiamenti paradossali dei protagonisti, nel tentativo di ricondurre il discorso a principi di condivisa consequenzialità; eppure gli intenti dell’autore sicuramente differivano da simili posizioni visto che lo stesso Pirandello, come Ponza, ha vissuto il dolore di un marito separato a causa dell’interminata degenza della moglie in una clinica psichiatrica. I personaggi di questa sua opera, dunque, non dovevano apparirgli troppo stravaganti e distanti dal suo vissuto ma, di certo, più dei protagonisti dei drammi classici, gli sono sembrati in grado di raccontare qualcosa di autentico e intenso come l’esperienza della follia e del disagio, propri o di chi si ama.

Al contempo, la trama inscena e descrive in forma chiara non tanto i nuclei tematici afferenti all’analisi del contesto quanto, piuttosto, il paradosso di poter denunciare e interpretare pienamente il proprio disagio solo se si riceve la pubblica giustificazione, e commiserazione, attribuite a chi è considerato da compatire, in quanto fuori di sé. La narrazione, in questo caso, oscura sino ad eludere il racconto (che, generalmente si identifica con l’aspetto più oggettivo e più chiaro della storia) e diventa assai più esplicativa nel riproporre i termini della dicotomia tra l’essere e l’apparire.

Attraverso questo espediente della non narrazione e attraverso la continua negazione di ogni dato che dovrebbe essere assunto come “oggettivo” (primi fra tutti i requisiti minimi di ogni identificazione), Pirandello si racconta anticipando quasi l’uso dei “falsi nomi” usati per conoscersi via web e denunciando l’oppressione e la morbosità contenute nella curiosità. E scrive di un dramma che accomuna tutti in quanto è determinato dalla condizione di sentirsi inadeguati, emarginati o differenti e, quindi, più deboli di quanti si trincerano dietro il posto occupato in società e ingannano la propria debolezza nell’abitudine di giudicare le mancanze altrui.

Pirandello si racconta, dunque, e narra di ogni uomo in cerca di un equilibrio dopo che un terremoto gli ha annullato ogni certezza e lo ha scosso al punto tale da lasciargli come unica verità la pratica del non giudizio e la consapevolezza di poter comunicare agli altri solo un frammento del proprio vissuto, talmente irrisorio quanto lo potrebbe essere un’ombra. Negando di essere la figlia della signora Frola e la seconda moglie di Ponza, la protagonista annulla ogni riferimento alla realtà convalidata da svariate forme e modalità atte a sancire l’appartenenza a un gruppo, ribalta le tradizionali pratiche di conoscenza orientate sulla continua conferma di riscontri e sembra indicare la direzione di un nuovo mondo, ignoto e buio come un palcoscenico su cui si è spenta ogni luce.

La vita di ognuno, la propria verità, non è una commedia (per quanto nobile questa scrittura possa essere) è non è neanche qualcosa che può essere recitato come spesso accade e conviene in rapporti obsoleti che connotano legami come quelli affettivi o lavorativi. La propria verità è insita in ognuno, il filo che unisce gli eventi della personale esistenza e la risposta emotiva che ad essi ogni uomo ha saputo o ha potuto dare: perché, prima o poi, si è sempre travolti da un terremoto che azzera tutto e, inconsciamente, induce a scegliere tra la possibilità di soccombere tra le macerie e quella di ricominciare a vivere pur sapendo di dover superare sempre nuovi ostacoli. Paradossalmente, questa vicenda insegna anche che la verità, quanto più risulta essere intima e dolorosa, non la si trova ma si può provare a raccontarla e la narrazione diviene, quindi, strumento di catarsi e di denuncia sotto forma di auto-tutela perché può preservare il malessere, lasciando comunque in chi legge la certezza di essersi inoltrato nell’intimo dello scrivente.

Il carattere dichiaratamente analitico e intimistico della scrittura de Così è (se vi pare), tuttavia, sconfina da riferimenti storicistici utili a sottolineare il legame tra l’intera produzione pirandelliana e la contemporanea ascesi della psicoanalisi al livello di teoria propriamente scientifica permessa da Sigmund Freud: essa si presta a diventare un prezioso esempio di decodifica della scrittura. Quest’ultima, del resto, rimarrà sempre l’impronta consapevole di ogni uomo e la testimonianza indelebile della propria sensibilità e visione del mondo. Di conseguenza, un tipo di scrittura che si riveli disposta a celare la profondità del dolore dietro l’imbarazzante maschera della follia può senza dubbio considerarsi un’arma che una personalità ferita può utilizzare per difendersi e per offendere la società rimarcando la grettezza della gran parte dei suoi giudizi. Eppure, il “caso” di quest’opera rimane esemplificativo di un conflitto risolto che è quello tra scrittore e opera letteraria, tra intellettuale e debolezza umana, tra giudice e imputato e tra l’immagine dell’uomo che si vorrebbe essere e i tanti e spesso insormontabili limiti. Pirandello non propone più lo stilema della finzione letteraria o scenica ma esattamente l’opposto, dal momento che usa la scrittura come un mezzo per disvelare la verità.

La scrittura dell’opera Così è (se vi pare) non corrisponde apparentemente con le modalità stilistiche adottate da chi intende, in maniera volontaria ed esplicita, comporre e riversare in questo atto il proprio vissuto o lo sfogo di determinati stati d’animo ma diviene la lettura di una crisi che non è né tanto esigua da poter essere considerata “personale” e nemmeno ampia o vaga al punto da poter essere letta come ontologica. La prosa, come la vicenda stessa, rappresenta uno strumento di ricerca, una sonda che si inabissa nel profondo della crisi e, in quanto puro tentativo di salvezza, non si cura dell’estetica ma si preoccupa unicamente di comprendere la natura del disagio, consapevole che spesso un urlo di dolore rappresenta l’unica misura del male vissuto.

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