La formazione delle giovani madri sole. Un approccio narrativo
Maria Grazia Simone
Abstract
Il contributo considera lo studio preparatorio ed il percorso di ricerca progettato per offrire un originale intervento di formazione ad un piccolo gruppo di giovani madri sole, ospiti di una comunità educativa residenziale del territorio salentino. Vengono analizzate le caratteristiche principali di questa particolare tipologia di persone, la loro capacità di rispondere agli interventi proposti, i compiti educativi del contesto comunitario e, soprattutto, le potenzialità del metodo narrativo ed autobiografico nel suscitare, in queste giovani, una rivisitazione della propria esperienza di vita funzionale alla maturazione di uno spessore identitario.
Abstract in inglese
This parer considers the preparatory study and the steps of research designed to provide an educative intervention to a small group of young lone mothers, guests of a residential educational community in Salento (Lecce).
The methodology is narrative-autobiographical. Narrating is an essential process for the construction and definition of personal identity; stories up the fabric that combines the timing of events, providing structure, organization and meaning.
The narrative approach can be helpful in revising the internal states crossed a distinct phase of life, can help organize the flow of thoughts, can support the formulation of intentions and life planning, and giving continuity to their all ‘another’s identity, and can even target for change.
The young mothers belonging to social problems are highly disadvantaged individuals in terms of personal resources, emotional, cognitive and social.
the “educational community mother and child” becomes an important opportunity to enjoy the protection and conditions of normality for lone mothers who can’t have, in their life context, an appropriate environment and a supporting the baby’s growth.
A small group of lone mothers participated in a orginal educative and narrative intervention, aimed at the rediscovery of women’s identity, its identity and its values, useful to consolidate the role of woman and mother.
The methodology provides techniques typical of the informal learning environment, able to provide practical work experience, moments of games, dynamism, cooperation among peers and ability to self-determination.
The project has aroused in the young lone mothers, first of all a critical reading of the personal situation, past and present, a general promotion of design capabilities, a significant incentive motivation for their life plan.
1. Narrazione e racconto di sè
L’istinto narrativo è antico quanto il desiderio di conoscenza e risponde ad una richiesta di senso, di conferire un significato agli eventi. Si tratta di una modalità peculiare con la quale l’essere umano organizza, elabora e narra la realtà e l’esperienza di sé, costantemente ed inevitabilmente alla ricerca del significato.
Per P. Ricoeur si esiste in quanto si è capaci di raccontare e dunque di ricondurre ad unità la molteplicità delle esperienze vissute, dandogli ordine e facendo emergere un senso (P. Ricoeur, 1997).
J. Bruner ha voluto parlare di “pensiero narrativo” riferendosi ad una capacità fondamentale e universale della mente umana, tipica del ragionamento quotidiano, in grado di organizzare ed interpretare le azioni, gli stati interni, gli eventi. Il discorso narrativo è strutturato in episodi, in sequenze di azioni, collegate tra loro da nessi di causalità soggettiva e, soprattutto, temporale, in grado di mettere in relazione il mondo interno con quello esterno (J. Bruner, 1992).
Il discorso narrativo sarebbe in grado di strutturare l’esperienza intra e interpersonale collegando stati mentali, credenze, valori, emozioni, intenzioni, scopi con l’esterno, il presente con il passato e con il futuro (N. Stame, 2004).
Esiste poi una tipologia particolare di narrazione che è la narrazione della propria storia, il prodotto di una negoziazione intersoggettiva dei significati attribuiti alle situazioni ed ai comportamenti.
Nella trama narrativa non trova descrizione una realtà certa, oggettiva ed assoluta ma una interpretazione possibile degli eventi, del tutto personale, proveniente dalla propria rappresentazione del mondo ma aperta alla confutazione ed all’arricchimento che può giungere da altri interlocutori.
Le storie di vita presuppongono la possibilità di organizzare le esperienze secondo processi di costruzione e di attribuzione di senso; perché questo avvenga, è fondamentale la coscienza del proprio sé (G. Villone Betocchi, 2003).
Se l’organizzazione ed il mantenimento dell’identità presuppongono un atteggiamento riflessivo nel soggetto, la capacità di divenire “oggetto a se stesso” (G. H. Mead, 1966), di auto-osservarsi e di assumere un comportamento critico nei confronti delle proprie azioni, la narrazione risulta un processo essenziale di costruzione e di definizione della propria identità; le storie costituiscono la trama che unisce il succedersi degli eventi, fornendoli di struttura e di organizzazione e, sostanzialmente, di significato.
La narrazione della propria storia può essere d’aiuto nel rivedere gli stati interiori attraversati in una precisa fase vitale, può agevolare l’organizzazione del flusso dei pensieri, può supportare la formulazione delle intenzioni e sostenere la progettualità, dando continuità alla propria identità, e può persino indirizzare al cambiamento. Spesso non è sufficiente un semplice e superficiale racconto autobiografico per promuovere un mutamento ma dal narrare, in quanto attività finalizzata ad una rielaborazione e ad una messa in discussione del sé, può scaturire la spinta motivazionale per aprirsi ad esperienze nuove, per sviluppare nuovi modi di sentire, di pensare e, quindi, di approcciare l’esistenza.
2. Le giovani madri sole in comunità educativa
Le giovani madri sole soggette ad assistenza pubblica, ed inserite in strutture educative residenziali con i propri figli per volere del Tribunale dei Minorenni, costituiscono in Italia un gruppo assai esiguo di persone (Morlicchio, 2000, p. 71; Marchegiani, Grasso, 2007, p. 183), con il rischio di <> (Olagnero, 2000, p. 45). Si tratta, evidentemente, di un fenomeno sociale non ancora sufficientemente compreso ed adeguatamente trattato anche dal punto di vista pedagogico.
Oggi ci si trova ad allevare un bambino da sole per scelta ma, come nel nostro caso, anche perché le avverse circostanze esistenziali ed ambientali, l’assenza di un partner stabile e la mancanza di supporto da parte della famiglia di origine non offrono, almeno temporaneamente, altre prospettive di vita.
Tale stato si registra più spesso fra le giovani già appartenenti al circuito del disagio sociale ed ha fatto pensare gli studiosi ad una ‘ripetizione intergenerazionale della deprivazione’ lungo due linee principali: di genere e di generazione (Ruspini, 2002, p. 22). In alcune situazioni, la condizione di ragazza madre apparterrebbe persino alla tradizione familiare (Deutsch, 1946, p. 327).
Sulla categoria delle madri sole gravano importanti componenti del rischio di povertà: il carico ‘demografico’, la solitudine ‘anagrafica’, quando non l’isolamento sociale, il rapporto discontinuo con il mercato del lavoro (Olagnero, 2000, p. 42).
All’interno della singolarità delle varie vicende esistenziali, esistono delle costanti di fondo, tipiche di ogni giovane madre sola in stato di disagio (Zajczyk, 2006, p. 65): figli dipendenti al di sotto dei 18 anni; assenza della famiglia di origine e di un compagno, in condizioni precarie a loro volta; bassi livelli di autostima (Ruspini, 2002, p. 74); depressione e sensi di colpa, che si ripercuotono sulla qualità della vita dei figli (Lipman, Offord, Boyle, 1997, p. 639; Marchegiani, Grasso, 2007, p. 183); livelli di istruzione decisamente bassi (Sabbadini, 2006, p. 39); scarsa qualificazione professionale, disoccupazione (Ruspini, 2002); condizioni abitative precarie e incerta organizzazione dei tempi di vita (Istat, 2005; Morlicchio, 2000). Vi si associa inoltre una maggiore dipendenza dal sistema di welfare, una più lunga fruizione degli aiuti, una notevole difficoltà ad uscire da un circuito assistenziale (Trifletti, Pratesi, Simoni, 2006, p. 88).
Questo faticoso stato influisce anche sulle capacità di educare e di educarsi, sulla qualità del lavoro di cura, sulla motivazione al riscatto sociale e sulla crescita nell’identità di madre.
Quando non si può usufruire, nel proprio contesto di vita, di un ambiente adeguato e supportante, la comunità educativa mamma-bambino diviene un’importante occasione per godere di condizioni di tutela e di normalità. La struttura si propone finalità assistenziali ed educative offrendo una soluzione abitativa, un supporto materiale, una consulenza personalizzata da parte di un’èquipe socio-psico-pedagogica, la possibilità di terminare un percorso scolastico interrotto e di beneficiare di un avviamento professionale.
Quando lo scopo dell’inserimento non è stato condiviso tra gli operatori territoriali e le giovani madri sole, queste ultime vedono nella comunità educativa soltanto un contesto in cui vivere una realtà familiare alterata ed essere soggette a controllo. In realtà, si tratta di
una preziosa opportunità per sperimentare e perfezionare le proprie capacità accuditive, un importante banco di prova dell’identità di madre, un’occasione per ripensare il proprio progetto di vita.
Laddove esiste un passato personale doloroso, pieno di errori e di occasioni mancate, di vite “consumate” o non vissute affatto, di prospettive aperte e mai concluse, la narrazione autobiografica diventa un compito senz’altro impegnativo e persino doloroso ma, dal punto di vista educativo, rappresenta una attività in grado di riconciliare con se stessi, una maniera per accettare il proprio passato e per progettare nuovi orizzonti. Si tratta di un’importante strumento per far ordine riducendo le “complessità scomposte” e dando luogo al “più importante viaggio di formazione che ci è dato di intraprendere” (D. Demetrio, 1995, p. 114).
3. L’intervento di formazione: un modello generalizzabile
Il problema
Durante la loro permanenza nel contesto comunitario le giovani madri sole, se incluse in circuiti di formazione o di riqualificazione professionale, risultano poco motivate, con scarsi livelli di interesse per le attività loro proposte attraverso le tradizionali metodologie di insegnamento-apprendimento, apparendo persino refrattarie agli interventi educativi formali pur necessitando oggettivamente di un arricchimento del patrimonio culturale.
Questo aspetto è stato già considerato dalla letteratura scientifica nel quadro più ampio della formazione degli adulti a basso livello di scolarizzazione. Emerge la necessità, per chi opera a favore di questi soggetti, del ricorso a modelli didattici ‘attivi’, che evitino la marginalizzazione, il disinteresse per il percorso proposto (Agosti 2006, p. 37), che blocchino il frequente ricorso a comportamenti stereotipati (Knowels, 2002; Paparella, 2008, p. 71) proponendo metodologie tipiche del contesto di apprendimento informale (Paparella 1988, p. 55; Paparella, 2005, p. 22), in grado di prevedere esperienze operative concrete, momenti ludici, dinamicità, cooperazione tra pari e capacità di autodeterminazione.
L’ipotesi
E’ possibile guadagnare utili sollecitazioni motivazionali e progettuali attraverso un ‘viaggio’ nella storia medievale, partecipando ad un percorso educativo volto alla riscoperta dell’identità femminile, delle sue specificità e dei valori.
Perché acquisire modelli valoriali e spinte motivazionali proprio dal Medioevo? Le ragioni della scelta sono essenzialmente due: la prima è che una spiccata lontananza temporale riduce sempre le resistenze all’identificazione; la seconda è che, nel periodo medievale, sono stati da noi cercati e scoperti utili riferimenti identitari, pregni di riferimenti valoriali e distanti da quelli stereotipati trasmessi dall’ambiente di appartenenza delle giovani madri sole. Abbiamo voluto saggiare la nostra ipotesi su un piccolo gruppo di mamme residenti, nel periodo settembre 2010-febbraio 2011, presso la comunità educativa “Sacro Cuore” a Lecce.
La metodologia
Le esperienze educative proposte hanno fatto largo ricorso a momenti di tipo narrativo ed autobiografico facendo leva sulla capacità dell’essere umano di riappropriarsi del proprio progetto esistenziale, di riflettere sulla propria vita, di creare senso, di cogliere la sua identità in divenire nella sua intrinseca incompiutezza, in stretta connessione con l’ambiente di vita (Demetrio, 1996; Dallari, 1990). Perché imparino a pensare in termini narrativi la propria esistenza, sono state offerte alle mamme, sotto forma di schemi sintetici di racconto, cinque biografie di importanti figure femminili medievali cariche di umanità vissuta: Christine de Pisan, prima donna scrittrice per professione; Rosvita, potente badessa; Trotula, rinomata ginecologa; Egeria, coraggiosa pellegrina; Dhuoda, madre ed educatrice.
Le fasi
L’idea è stata quella di creare una sorta di “innesto” tra le biografie medievali e le singole storie di vita, anche familiari, delle giovani madri sole attraverso le seguenti fasi di intervento: a) fruizione multimediale delle cinque biografie; b) individuazione di una biografia; c) esposizione delle ragioni della scelta; d) costruzione libera di un nuovo racconto; e) drammatizzazione di quest’ultimo; f) registrazione e socializzazione di tutte le nuove storie; g) rilevazione dell’eventuale presenza di motivazioni future.
Monitoraggio e valutazione
La valutazione dell’intervento è stata affidata ad indicatori a differente livello di complessità: il grado di impegno profuso e di interesse manifestato dalle madri durante i momenti di formazione, l’originalità e la creatività dei racconti prodotti e, soprattutto, l’eventuale presenza in essi di elementi motivazionali e desiderativi.
Per quanto riguarda la rilevazione di questi ultimi nei racconti, si è applicato il MIM, un metodo di induzione motivazionale (Nuttin, 1980; Perucca 1992), e ci si è avvalsi anche del software di analisi testuale T-LAB, per isolare categorie ricorrenti (desideri, aspirazioni, aspettative, ecc.) nei singoli elaborati.
I risultati
Le destinatarie hanno partecipato con interesse e buoni risultati alle attività previste. L’intervento ha suscitato, nelle giovani madri sole, anzitutto una lettura critica della situazione personale passata e presente e, attraverso il meccanismo della identificazione e rappresentazione di sé, una generale promozione delle capacità progettuali ed un incentivo motivazionale attraverso la fruizione di sollecitazioni valoriali, etiche, morali che, in taluni casi, hanno anche favorito una presa di distanza da stereotipi e pregiudizi circa l’identità di donna e di madre. Ulteriori esiti derivati dell’intervento, altrettanto importanti, sono stati lo sviluppo delle capacità di introspezione e narrazione di sé, l’apprendimento di nuove conoscenze, l’esperienza di lavoro di gruppo.
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MARIA GRAZIA SIMONE
E’ professore a contatto presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università del Salento. Dottore di ricerca in Pedagogia dello sviluppo, ha svolto attività di ricerca nell’ambito di progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN). È stata assegnista presso l’Università del Salento, l’Università degli Studi di Foggia e borsista post dottorato presso la Scuola Superiore ISUFI. È socia di alcune società italiane di ricerca educativa ed ha tenuto relazioni in convegni nazionali ed internazionali. Si occupa di pedagogia del consumo, di simulazione e di disagio sociale.
Collabora al Laboratorio di Intercultura e con il Laboratorio di Pedagogia della salute, entrambi attivi presso il Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche dell’Università del Salento.
E’ consulente pedagogico presso la Comunità Educativa “Sacro Cuore” di Lecce ed opera nell’ambito del disagio sociale femminile e del recupero di minori provenienti da contesti multiproblematici.
È autrice di una monografia e di contributi in volumi collettanei, in riviste scientifiche ed in atti di convegni.
Tra le sue pubblicazioni più recenti:
2008:
Nuovi media, consumo sociale ed identità personale, in P. LIMONE ( a cura di), Nuovi Media e Formazione, Armando, Roma 2008, ISBN: 978-88-6081-310-7, pp. 231-251.
2009:
• Identità, consumo, educazione, Armando, Roma 2009 (monografia);
• La valutazione in corso d’opera, in S. COLAZZO (a cura di), Attori, contesti e metodologie della valutazione dei processi formativi in età adulta, Amaltea, Melpignano (Le) 2009;
• Il progetto educativo di istituto, in N. PAPARELLA (a cura di), Il progetto educativo, Armando, Roma 2009, vol. II;
• Il management didattico, in N. PAPARELLA (a cura di), Il progetto educativo, Armando, Roma 2009, vol. III;
• L’analisi del discorso pedagogico. L’attualità del pensiero pedagogico di Carmela Metelli Di Lallo, in N. PAPARELLA (a cura di), Il progetto educativo, Armando, Roma 2009, vol. III;
• (CON G. MARSELLI), Governance and management in the universities. Ict for decisional processes, in A. MÉNDEZ-VILAS, A. SOLANO MARTÍN, J.A. MESA GONZÁLEZ, J. MESA GONZÁLEZ (A CURA DI), Research, Reflections and Innovations in Integrating ICT in Education, Vol. 1, FORMATEX, Badajoz, Spain 2009;
• Dopo la laurea. Aree di criticità, in N. PAPARELLA, M.G. CELENTANO (a cura di), Sud-Est. Una strategia di rete per l’orientamento. Favia, Bari, 2009.
2010:
• I paradossi del consumo, in S. COLAZZO (a cura di), Il sapere pedagogico, Armando, Roma 2010;
• La salute come costrutto sociale e compito educativo, Atti del Convegno “Medicina e pedagogia a confronto”, Amaltea, Melpignano (Le) 2010:
2011
Una nuova cultura per la pratica medica, (curatela in collaborazione con A. Perucca e M. Minelli), Edizioni Solirarietà, Lecce 2011;
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